Giovani dj in competizione, musica trap contro rap

Ieri sera ho vestito i panni di giudice ad un contest di dj emergenti nel nord Italia: non è la prima volta e l’essere considerato all’altezza di valutare con competenza i giovani dj mi responsabilizza.

Il disk-jockey oggi ha a disposizione una quantità di tecnologie hardware e software davvero avanzate: consolle Pioneer, software come Virtual dj / Serato / Traktor ed altri, sono strumenti che aprono scenari immensi alla creatività applicata alla performance dal vivo.

Grazie a tutto questo potenziale il deejay, come il musicista, deve affrontare studio, ricerca, scelte, un viaggio infinito alla scoperta della propria identità di musicista e individuo.

Resta fondamentale la cultura musicale, l’ascolto continuo, la scelta del genere al quale affidare la propria espressività; ieri sera i set proposti hanno spaziato tra reggaeton, house, tech-house, EDM, trap, rap, qualche penellata di moombahton. Forse qualcuno di voi non saprebbe orientarsi in questa “giungla di beat”: non è determinante per l’amante della musica, lo è di sicuro per chi sta in consolle…

Da giovane musicista imparai a distinguere la classica dal jazz, il rock in tutte le sue sfaccettature, ma ora è anche importante capire le complesse definizioni tra musica elettronica e hip hop.

Ogni corrente musicale ha il suo inizio, legato ad artisti simbolo, e la definizione di genere ha una valenza che va oltre alla musica, spesso sono critici e cronisti a dargli un nome: appartenere a un genere significa soprattutto esistere, rivendicare il proprio ruolo, la novità apportata, definire degli elementi cardine musicali e spazi di identificazione, sentirsi interpreti del proprio tempo.

La musica “leggera”, da quando è nata, ha dato voce all’essere umano calato nell’oggi, proponendo stati d’animo e storie nelle quali identificarsi; la trap che ascoltiamo e che ho sentito anche ieri, da Gucci Mane e Drake a Sfera Eebbasta e Capo Plaza, è espressione dei tempi, e non solo in Italia è sotto accusa per i modelli che propone e i contenuti dei testi. Sottolineare il conflitto significa far sentire la propria voce.

Già da anni all’interno del mondo urban  e hip hop esponenti della scena trap “combattono” con i protagonisti precedenti (o paralleli) della scena rap. Musicalmente le differenze ci sono: la trap (nata ad Atlanta nei primi 2000 e che prende il suo nome dalle dinamiche dello spaccio di sostanze stupefacenti) è a tutti gli effetti una figlia del rap, inizialmente diversificata con basi più elettroniche e l’uso dell’autotune, una digitalizzazione parziale della voce che porta a quello che gli americani definiscono come “mumble rap”.

Al di là della comprensione dei generi che potete sempre approfondire, alla luce delle mie esperienze nei djset più trasversali chiudo con questa considerazione: l’hip hop nasce dalla strada, dalle metropoli americane, dal bisogno di reagire al disagio e all’emarginazione. La disco nasce (prima) sui dancefloor, dal disimpegno che tra buio, luci, glamour e ballo prova ad annullare le differenze e i problemi in un’esplosione di gioia e istinti. Pensare quanto queste strade si sovrappongano e convivano oggi negli ascolti e nei set di tanti ragazzi ci porta oltre ogni “fondamentalismo musicale”, ed è la prova che l’essere umano si vuole raccontare nella sua complessità e quindi, quando la musica parla ai più, la scelta del genere come tutti gli strumenti diventa solo un mezzo.